I CENNI STORICI coprono un periodo di sedici secoli e permettono di inquadrare la costruzione dell’attuale basilica – che sorge nel luogo in cui la tradizione pone l’oratorio di san Marco evangelista – nella storia di Roma e del Papato.
L’ampiezza data a tali cenni consente di valutare l’importanza della committenza dei pontefici e dei dignitari della Serenissima e la feconda collaborazione di architetti, scultori, pittori italiani e stranieri.
Secoli IV - IX
La basilica di S. Marco è una delle più antiche chiese romane che sorse nel centro della città imperiale presso i Septa Julia, i grandi portici costruiti per le votazioni e inaugurati nel 26 a.C. secondo la tradizione, nella stessa zona, alle pendici del Campidoglio abitò, presso una famiglia cristiana, l’Evangelista Marco, venuto a Roma con san Pietro, e in quei luoghi avrebbe fondato un oratorio.
Successivamente il papa Marco (337-340) trasformò l’originario oratorio in basilica, non appena cessarono le persecuzioni contro i cristiani, con il contributo dei doni avuti dall’imperatore Costantino.
La primitiva basilica andò probabilmente distrutta nel V secolo a causa di un incendio, di cui rimangono tracce di materie carbonizzale nel sottosuolo, di alcuni metri inferiore al livello attuale.
Nei secolo VI e VII la chiesa subì saccheggi e devastazioni durante le incursioni dei Goti, dei Longobardi e dei Bizantini e, trovandola in rovina, il papa Adriano I (772-795) ne prese cura, ornandola di mosaici, pitture e arredi.
Nel 791 la chiesa veniva inondata dalle acque del Tevere.
Nel secolo IX il papa Gregorio IV (827-844) restaurò la basilica e ne fece decorare l’arco trionfale e l’abside con i mosaici che ancora oggi vediamo, in cui è rappresentato, accanto alla figura del Cristo, lo stesso pontefice con il nimbo quadrato (in quanto vivente) e che sostiene sulle mani il modello della chiesa da lui ricostruita.
Le successive notizie storiche risalgono al secolo XII quando i marmorari romani costruirono il piccolo campanile romanico, ancora esistente (la campana è del 1288) e i maestri Giovanni, Pietro, Angelo e Sansone, lavorarono al ciborio, disfatto successivamente, e di cui forse rimangono le colonne di porfido agli ingressi laterali del presbiterio nonchè dieci colonnine attualmente nel portico.
Secolo XV
Nel secolo XV la basilica venne radicalmente trasformata ad opera del cardinale Pietro Barbo, patrizio veneto, divenuto pontefice nel 1464 con il nome di Paolo II, che accanto alla chiesa aveva costruito il proprio palazzo, detto appunto di S. Marco, e successivamente di Venezia, in quanto divenuto sede degli ambasciatori veneti in Roma, dopo la donazione fatta da Pio IV, nel 1564, alla Repubblica veneta.
All’iniziativa di Paolo II (1464-1471) si devono la splendida facciata a due ordini e, nell’interno, le grandi nicchie a conchiglia della navate laterali, le bifore, il soffitto a lacunari (eseguito nel 1471 da Giovanni e Marco de’ Dolci e decorato da Giuliano degli Amidi che si servì di 200 fogli d’oro e 300 d’argento), nonché la copertura del tetto con lastre di piombo (andate perdute nel restauro del 1850) in cui lavorò l’architetto Bernardo di Lorenzo da Firenze nel 1467.
Molto si è discusso sulla paternità artistica del portico e della sovrastante loggia a tre arcate (che ha molta analogia con la loggia delle benedizioni della basilica di S. Pietro in Vaticano, edificata al tempo di Pio II Piccolomini e distrutta all’inizio del secolo XVII da Carlo Maderno per realizzare la nuova facciata della chiesa) che, da autorevoli autori, è attribuita alla genialità di Leon Battista Alberti. Le arcate della loggia superiore vennero chiuse nel 1738, dall’ambasciatore Marco Foscarini, con finestroni, sostituiti da muri dall’ambasciatore Niccolò Erizzo, per recuperare spazio, e riaperte solo nel 1916 quando il palazzo di S. Marco venne restituito allo Stato italiano.
Paolo II fece costruire la porta centrale della chiesa, sormontata da un rilievo raffigurante Marco Evangelista, attribuito allo scultore Isaia da Pisa, mentre il nipote, cardinale Marco Barbo (che dal 1464 aveva avuto il titolo di S. Marco), s’interessò ai lavori di restauro e a lui si devono le due porte laterali della chiesa e il ciborio ornato di sculture da Giovanni Dalmata e Mino da Fiesole, già nel presbiterio, trasportato nel '700 in sacrestia dove si conserva, ma incompleto.
Nel 1474, durante il pontificato di Sisto IV, i corpi di S. Marco e dei martiri Abdon e Sennen ed altre reliquie furono traslati nella basilica consacrata a S. Marco evangelista.
Sempre al secolo XV appartengono alcuni monumenti funebri: quello di Paolo Capranica in una conchiglia nella navata di sinistra, e la lastra tombale, a terra, avanti la cappella del Sacramento, del cardinale Marco Barbo, nonché tratte di pavimento cosmatesco lavorato con figure geometriche a mosaico.
Una delle opere pittoriche più notevoli dello stesso periodo è la tavola raffigurante San Marco papa, sull’altare della cappella del Sacramento, di Melozzo da Forlì (1428-94)
Secolo XVII
Dopo le devastazioni, subite dalla basilica durante il Sacco di Roma (1527) e alcuni lavori fatti eseguire dai cardinali veneti Domenico Grimani e Agostino Valzer (di cui poco o nulla si conosce, nonostante se ne accenni in alcune “guide”), chi trasformò l’interno della chiesa fu Nicolò Sagredo, per due volte ambasciatore della Serenissima in Roma, dal 1651 al 1656 e dal 1660 al 1661. La direzione dei lavori fu affidata ad Orazio Torriani che modificò i pilastri della navata maggiore e, per iniziativa sempre del Sagredo, la stessa navata venne ornata con affreschi e così le navatelle e le grandi nicchie delle navate laterali.
Al secolo XVII appartengono anche numerose opere di pittura e scultura, dislocate in varie cappelle e ambiti della chiesa, tra cui si ricordano quelle di Jacopo Palma il giovane (Gesù resuscitato), di Luigi Primo detto il Gentile (Vergine con il Bambino, S. Anna e S. Antonio da Padova), di Carlo Maratta (L’Adorazione dei Magi), di Bernadino Gagliardi (La Pietà), del Borgognone (cappella del Sacramento e abside della chiesa) e di Francesco Romanelli (S. Marco evangelista nell’abside). Dello stesso secolo sono i monumenti funebri di Cristoforo Vidman, opera di Cosimo Fancelli; del card. Basadonna, di Filippo Carcani e di Marcantonio Bragadin, di Lazzaro Morelli.
I cancelli della basilica furono donati nel 1690 dal cardinale titolare Pietro Vito Ottoboni, veneto, che divenne pontefice con il nome di Alessandro VIII.
Secolo XVIII
La sistemazione attuale dell’interno della chiesa è dovuta al cardinale Angelo Maria Quirini che, alla metà del secolo XVIII, affidò all’architetto Filippo Barigioni i lavori di ristrutturazione. Il Quirini volle anche che si eseguissero gli stucchi raffiguranti episodi della via degli apostoli, ai due lati della navata maggiore, intercalandoli agli affreschi eseguiti al tempo del Sagredo nel secolo precedente.Tra i propositi del Quirini, fortunatamente non attuati, era quello della demolizione del soffitto del tempo di Paolo II, uno dei due ancora esistenti in Roma del secolo XV, con quello di S. Maria Maggiore.
Dalla seconda metà del secolo XVIII non vennero più apportate modifiche alla basilica, che si arricchì invece della tomba di Leonardo Pisano, figlio dell’ultimo ambasciatore veneto, opera del Canova (1796) e della cantoria, su disegni di Giuseppe Valadier.
Secolo XIX
Nel secolo XIX una particolare attenzione si concentrò sui restauri, tanto che il Cardinal camerlengo Galeffi incaricò il pittore Manno di elencare le pitture della basilica che richiedevano un urgente intervento. Nella relazione Manno, del 1825, si segnalavano gli affreschi della tribuna dell’altare maggiore, per i quali si richiedeva la ripulitura: il dipinto centrale del Romanelli, raffigurante S. Marco che scrive il Vangelo, e dei laterali del Borgognone dedicati al martirio del Santo. Anche l’affresco di Francesco Allegroni nella navata centrale, raffigurante il martirio di Abdon e Sennen, rovinato dal salnitro, meritava una seria “ripristinazione”.
In assai precaria condizione si trovavano anche i dipinti laterali della cappella del Sacramento (del Borgognone) nonché le pitture di Giacomo Courtois detto il Borgognone sulle porte laterali all’ interno della chiesa, raffiguranti battaglie. Negli stessi anni i Biscassillas chiedevano l’autorizzazione di restaurare nella loro cappella L’Adorazione dei Magi del Maratta.
Testimonianze
Documenti interessanti sono conservati nel portico della basilica: (a destra) un’iscrizione del 1466, riguardante i lavori fatti fare da Paolo II; una memoria del cardinal Valeri; le pietre tombali di Gerolamo Ragazzoni veneto e vescovo di Bergamo (+1592) e di Giovan Battista Ghirelli (+1859); un antico pozzo con iscrizioni del secolo XI in cui il prete Giovanni, donando il pozzo in onore di Dio e di S. Marco, invitava gli assetati a bere e minacciava maledizioni a chi osasse trarre profitto pecuniario dalla sua acqua; un’epigrafe funeraria di Vannozza Cattaneo e iscrizioni latine e greche tratte dalla cripta.
Ai lati della porta centrale: un leoncino romanico (asportato); i monumenti funebri degli ambasciatori veneti Tommaso Contarini (+1634) e Gerolamo Contarini (+1656); un’iscrizione funebre di un littore del secolo V. Nella parte di sinistra del portico: memorie funebri varie; antico stemma del Capitolo; colonnine dell’antico ciborio romanico dell’altare maggiore costruito nel 1154; frammenti dell’antica basilica; lapidi ricordo dei restauri eseguiti dal Sagredo e dal Quirini.
Nella cripta sottostante la basilica si vedono resti del pavimento e delle pitture della prima e della seconda chiesa; pitture del IX secolo; decorazioni in stucco tinto di rosso, blocchi di tufo.